A ciascuno il simbolo che merita

E' tempo di elezioni. Il prossimo mese i cittadini saranno chiamati a votare per le elezioni europee e le amministrative. A scegliere cosi il loro simbolo preferito. Mai come ora però, vista la qualità scadente dei marchi istituzionali in giro, vi riporto all'attenzione alcuni passi di un articolo che condivido pienamente di Pino Grimaldi socio Aiap, membro Beda, insegnante di Design e Comunicazione visiva in diverse università, italiane e straniere. L'articolo non è recente, alcuni partiti citati forse non si presenteranno. Ma dal punto di vista dei contenuti purtroppo aggiungo io, è ancora molto contemporaneo. Valerio Barba
La recente produzione di simboli di organizzazioni politiche, sembra lasciare poche speranze alla qualità del design. Credo che si possano individuare due spunti interpretativi che ci offrono delle chiavi di lettura.
La prima è l’ignoranza della disciplina, è la più ovvia e probabilmente più giustificabile: il design grafico è considerata attività semplice, banale, più o meno tutti possono farlo. Il pensiero retrostante sembra essere: “Basta avere l’idea giusta ed io – che sono Il politico – so cosa voglio che il simbolo esprima. Nessun designer può saperlo più o meglio di me”. Occorre solo tradurre in forma grafica il Mio pensiero – raramente, il Nostro – e mettere tutto in un cerchio, ovviamente. Che ci vuole? Il nome pure è figlio della medesima problematica. Il nome? Pura creatività politica, se è di politica che parliamo, chi più del politico ha le idee? Serve solo qualcuno che dia forma all’intuizione politica. A volte un designer grafico esiste, ma è solo per “smanettare” intorno a quanto mirabilmente già ideato, visualizzato, concepito.Non occorre più scomodare metafore articolate, scudi con la croce come l’idea di Costantino, falci e martelli, fiamme tricolore, suggestioni storiche e memorie, non c’è più niente di tutto quello che ha caratterizzato la prima repubblica, becera, retorica e “ladrona”, ma forse con maggior senso del “pudore” e del limite.
Oggi ci sono solo nomi, come nella comunicazione ci sono solo facce. Neppure le rock star ormai usano più la loro faccia, solo i politici italiani hanno la “nuova” strategia nome-faccia. I simboli, per la gioia dei type designer, usano solo tipografia, prevalentemente bold, condensed, con ombrina e/o profilo; talvolta in corsivo che fa tanto proiezione nel futuro.
La seconda chiave di lettura è che mancando le sedi della democrazia partecipata, dove potrebbe esserci un dibattito sul simbolo che “dovrebbe rappresentarci”, tutto si riduce ad una decisione verticistica, magari frettolosa del “capo partito” che non ha tempo da perdere e affida a qualcuno delle istruzioni già lungamente elaborate (in auto, in aereo, in treno) su cosa e come dovrà essere questo simbolo. Di qui una realizzazione sciatta, frettolosa, culturalmente modesta, dal punto di vista del design una soluzione dell’ultima ora, che non ha tempo di confrontarsi con la storia, né della politica (per carità sono finite le ideologie; quale destra e sinistra; quali parole obsolete della “propaganda” politica), tantomeno con quella del design grafico[...]
Una terza chiave di lettura è la mancanza di tempo, il simbolo è questione dell’ultimo momento, c’è sempre fretta, anche quando ci si affida ad uno studio o agenzia, è generalmente perché ha fatto qualche altra campagna. Non si sceglie neppure con la cura che si avrebbe nello scegliere un chirurgo per un’appendicite dei propri figli. Il tempo per un simbolo non esiste più, come non esistono più i gruppi che si raccolgono intorno alle idee, a un progetto comune, perché se non c’è tempo per lavorare intorno ad un simbolo e c’è tempo per un programma, significa comunque che si lavora tra poche persone, una, forse due, tre, comunque c’è solo un nome che serve, è più facile da ricordare perché simbolo e persona sono assimilabili, sovrapponibili. 
Ora, per varie ragioni, i nuovi simboli sono tutti bruttini e senza una storia, credo che sarebbe difficile anche stabilire quale sia il peggiore. Mancano tutti di un valore di design che utilizzi qualche invenzione: che so una metafora forte, un’iperbole, un titolo-nome emblematico. Un nome è già un’idea e se possiede una  facile memorabilità il più è fatto, la forma grafica sarà subalterna.Purtroppo – perché uno spreco di idee è pur sempre uno spreco – Forza Italia è finito nel 2009, ma è stata comunque una buona idea sia di naming che di design grafico. Ed è comunque da quella sintesi (tricolore, lettering dominante) che nasce anche il nuovo simbolo del PD. Anche se personalmente – per le ragioni che altrove ho espresso – lo considero più adatto ad un network di supermercati che ad un partito, la sua gestazione ha quantomeno seguito strade un po’ più democratiche. E comunque, dal punto di vista del design grafico è comunque un’ottima invenzione, la bandiera è risolta in un monogramma che utilizza l’artificio gestaltico della figura-sfondo.
Certo non merita troppi commenti la specie di “swoosh” del simbolo Monti, il tricolore che dopo il baratro risale verso lo sviluppo, non è all'altezza del grande rilancio e rinnovamento che dovrebbe rappresentare. La scelta del carattere Gotham di Tobias Frere-Jones, molto cool, non basta ad offrire un impatto forte alla debolezza dell’impianto compositivo con troppe varianti formali che ne disperdono la memorizzazione. “Scelta civica con Monti per l’Italia” è un romanzo non un nome.Ingroia, utilizza un po’ inopportunamente “Il Quarto stato”, sottovalutando la potenza dei simboli (o forse pensando di piegarla); il celebre dipinto di Pellizza da Volpedo, emblema storico del socialismo italiano, ridotto a icona molte volte riutilizzata, da Bertolucci a Celentano a Di Pietro. Stilizzazione poco felice, compressa, schiacciata dal nome, perde tutta la forza dell’impatto imponente dell’avanzare del popolo; colori selezionati anche impropriamente.
La variante formale al PDL, “Fratelli d’Italia”, proviene dallo stesso contesto iconografico, colori caratteri, campo cyan, disco bipartito, con la scritta nel basso “Centrodestra nazionale” ed un cordone tricolore ed un nodo (che non appartiene alla tradizione Araldica italiana), non è il nodo di Salomone, non un Nodo gordano, né uno dei nodi d’amore del tempio massonico. Semplificando però è una metafora chiara di un nodo da sciogliere: il governo del paese. Ma la presenza nel simbolo tuttavia, come proporzione, non offre a questa metafora lo spazio adeguato. Non merita molte considerazioni la banalità del simbolo del Movimento cinque stelle. Piuttosto patetica è la “V” che ricorda i Visitors.Se, dunque, questa è la qualità dei simboli che rappresentano le idee di chi si candida a governarci ecco spiegato perché siamo in un paese “a rischio”.
Pino Grimaldi

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